“Emergenza ad Agrigento sconvolta dalla frana”. Titolava così il giornale L’Ora del 19 Luglio 1966. E a seguire si leggeva “2 palazzi crollati – mezza città evacuata – 5 rioni minacciati”. Cosa stava succedendo ad Agrigento, perché quel giornale parlava di una frana? Prima di rispondere a questi interrogativi, dobbiamo andare a ritroso nel tempo, per capire perché nella città dei Templi il 19 Luglio 1966 successe qualcosa che alterò profondamente il destino della stessa città. Agrigento lo sapevano gli antichi, e lo sappiamo anche noi, poggia su un terreno franoso e in alcune zone assolutamente inedificabile…
Il 15 Settembre 1925, mentre erano in corso i lavori per la costruzione della galleria che doveva collegare la nuova stazione centrale con la stazione bassa, i tecnici delle Ferrovie dello Stato rilevavano un movimento franoso. Dalla relazione emergeva che: dalla progressiva 1640, la galleria si addentra in un banco tufaceo non perfettamente compatto. Infatti dopo brevi strati di argilla e sabbione, la galleria è venuta a trovarsi in un terreno assolutamente incoerente. La ferrovia venne quindi a trovarsi in una grande ansa, naturalmente o artificialmente prodottasi nelle epoche precedenti. Presi accordi con il comune e con il genio militare, si provvide all’isolamento della zona minacciata, alla sgombero della stessa e al tampognamento di tutti i vani. Esaminando questa relazione, si potrebbe dedurre che la zona in questione era stata soggetta ad altri movimenti franosi precedenti al 1925 e allo stesso 19 Luglio 1966. Dal 1925 arriviamo al 1943. Le truppe alleate bombardano la città di Agrigento provocando morti e distruggendo 7526 vani abitativi. Esattamente un anno dopo, nel Febbraio del 1944, la parte nord della città venne investita da un movimento franoso, che interessa la piazza Bibbirria e la sottostante via Giardinello. Di questo evento non si trova nulla negli archivi comunali. Il 24 Gennaio 1953, con decreto ministeriale, Agrigento viene inclusa nel tredicesimo elenco dei comuni danneggiati, con obbligo di redigere un piano di ricostruzione. Vennero incaricati Del Bufalo, Granone e Biuso. Il 18 Novembre 1954 i progettisti consegnano il piano. Questo prevede due zone di espansione; la prima a sud-est verso la valle, la seconda a sud-ovest, l’odierna via Dante. Qui si prevede la costruzione di una parallela alla via Dante, da ricavare mediante un massiccio e assurdo sventramento del colle. Nel 1955 vengono erette le nuove costruzioni, che generano fin da subito numerose polemiche per quanto concerne l’altezza degli edifici. Due anni dopo, in consiglio comunale, viene presentato il piano di fabbricazione allegato al regolamento edilizio. L’articolo 39 comma 2 dello stesso regolamento, fissa a venticinque metri il limite massimo d’altezza dei fabbricati. Nel Febbraio del 1957 viene nuovamente modificato l’articolo 39. Da ora in avanti non vi sarà più un vero e proprio limite da non oltrepassare per l’altezza delle nuove costruzioni. Nei primi mesi del 1958, nella via Giardinello si verifica un’altra frana di minore entità rispetto a quella del 1944. Anche di questo evento calamitoso non vi è traccia negli archivi comunali. Nel 1959 vengono costruiti 1440 vani, inizia l’era della speculazione edilizia selvaggia. Nel 1960 vengono costruiti 1760 vani. Sono di quest’anno i palazzoni Vita e Riggio, che oscureranno per sempre una fetta del centro storico. Finalmente, nel 1961 si inizia a parlare di piano regolatore, ma il fondamentale strumento urbanistico sarà fortemente osteggiato dagli amministratori locali e poi votato fino ai nostri giorni mediante cavilli burocratici. Senza piano regolatore, si inaugura con la complicità della classe politica, quel fenomeno che passerà alla storia come il “Sacco di Agrigento”. La città si sta trasformando molto velocemente in una fungaia di tolli. Nel 1963, l’Antimafia richiede un’ispezione straordinaria al comune di Agrigento, in merito ai fatti criminosi riguardanti l’abusivismo edilizio che si sta verificando in città. Gli esiti di quell’inchiesta, condotta dal vice prefetto Di Paola e dal maggiore dei carabinieri Barbagallo sono agghiaccianti. Veniva evidenziato che: i lavori di costruzione venivano iniziati senza regolare licenzia edilizia e proseguiti anche dopo l’ordine di sospensione del comune. In molti casi, la costruzione veniva eseguita in maniera difforme dal progetto originario, specie per quanto concerne l’altezza dei fabbricati. La cauzione, disposta dall’articolo 7 del regolamento edilizio, al fine di assicurare l’osservanza delle prescrizioni relative alle costruzioni autorizzate, era costantemente fissata dall’autorità comunale in misura del tutto inadeguata al limite stabilito dalla norma. Sia per le costruzioni abusive, sia per le sopra-elevazioni non autorizzate, il comune emetteva costantemente provvedimenti di sanatoria ed accordava deroghe all’altezza massima consentita dietro pagamenti di cifre irrisorie. Il sindaco, pur avendo emesso vari provvedimenti di sospensione dei lavori eseguiti abusivamente, non faceva mai uso del potere di demolizione, attribuitogli dall’articolo 32 della legge urbanistica. E, cosa ancor più grave, il comune concedeva licenze per costruzioni in zone sottoposte alla tutela paesistica, o in aree geologicamente instabili.
Dunque Barbagallo e Di Paola, avevano messo in luce, tre anni prima della frana, gli atti criminosi che si verificavano all’interno di palazzo dei Giganti. Nel 1965, si assiste alla presentazione del volto urbano della nuova Agrigento, un volto completamente sfigurato e diverso da quello dell’antica Girgenti. La città trasformata in un gigantesco ecomostro. Tanti i giganti di cemento armato, sorgevano però su di un terreno che non poteva assolutamente sostenerne il peso. E fu solo allora che la lobby della politica e del cemento dovette fare i conti con la cruda realtà. Era il 19 Luglio dell’anno 1966. Il movimento franoso comincia a manifestarsi alle ore 7 circa del mattino con alcuni segni premonitori; particolarmente appariscenti furono le fenditure sui piani viari. Questa fase preliminare dura pochi minuti e consente alla popolazione di mettersi in salvo, allontanandosi dalla zona a rischio. E’ a questo intervallo di tempo che si deve se i crolli verificatisi non hanno causato vittime. Successivamente il fenomeno meccanico si manifestò con estrema rapidità in tutta la sua potenza ed estensione, provocando notevoli ed estesi dissesti. Nei giorni seguenti, i manifestano secondarie, specie nelle zone più basse e come fenomeno di assestamento, che si esauriscono in un mese circa. Il movimento franoso interessò i fronti terminali delle vie Dante e Santo Stefano, per intero le vie Anface e Porto Empedocle, e il tratto terminale della via Garibaldi. Altri dissesti sono stati individuati sul versante settentrionale dell’abitato, al di fuori del più grosso nucleo centrale di franamento. Questi ricadono nei rioni Duomo, Giardinello, Bibbirria e San Michele ed hanno interessato, con gravi conseguenze, anche se senza crolli, gli edifici posti sul lato nord di via Duomo. Tra questi manufatti anche la Cattedrale e altri luoghi di culto, tra questi la chiesa di San Michele demolita dopo la frana. Quel maledetto 19 Luglio del 1966 cadeva di Martedì. Un netturbino, addetto allo smistamento dei sacchi, Francesco Farruggia, si apprestava a prendere servizio in via Dante e nei nuovi quartieri a sud, dove nel frattempo nei ciclopici palazzi si erano stabilite diverse famiglie. Erano le 06:00 del mattino, faceva un gran caldo. U ziu Cicciu, terminato il suo lavoro decise di riposarsi un po’. All’improvviso vide gli oggetti attorno a se tremare di colpo, mentre sul manto stradale, lucido e nuovo di zecca della via Dante si allungava una riga nera a zig zag, una sima. Poi accanto a lui si era creato come un gradino e l’anziano netturbino capì subito:- U terremotu, u terremotu, nisciti tutti ca stati murennu, i palazza stannu cadennu, u terremotu-. Dalle poche case rurali rimaste e dai palazzoni circostanti, s’affacciarono così intere famiglie, il cui sonno era stato destato da le grida di quell’uomo, che ferse credevano impazzito. Erano le 06:30 del mattino, i residenti nel frattempo scesi in strada avevano compreso la gravità della situazione. Migliaia e migliaia di persone fuggirono via come un fiume in piena verso la Valle dei Templi, verso la salvezza. Alle 07:00 l’intera area era ormai evacuata. Anche il nucleo operativo e radiomobile dei carabinieri di Agrigento era già a conoscenza della situazione. Alle 07:15 il sussulto. Un’immensa nube si levò sopra i quartieri occidentali della città, poi un rumore assordante; un palazzo inghiottito dal terreno, un altro franato completamente, un altro ancora in costruzione con i pilastri inclinati, quasi come se si volesse inginocchiare per chiedere scusa alla natura violata. La notizia della frana, intanto fece il giro della città. Con i telefoni che si udivano in dissesto, a regnare era il caos e il terrore di nuovi, ancor più violenti episodi franosi. Una vettura dei vigili urbani, con un altoparlante, invitava la cittadinanza alla calma, mentre le forze dell’ordine erano giunte nel rione dell’Addolorata per presidiare la zona. Nel volgere di qualche ora, il nuovo ospedale San Giovanni di Dio venne preso d’assalto. La città in ginocchio. Da Palermo partono soccorsi e aiuti. Il bilancio è agghiacciante: 8000 persone rimaste senza tetto, senza un futuro.
Arriva la frana e come un ciclone spazza via tutto. E’ la natura che si ribella alla cementificazione selvaggia e, alla sciagurata speculazione edilizia. Nei luoghi della frana si precipitano subito geologi, giornalisti e tanti politici. Nei giorni a seguire, arrivano il presidente della Repubblica Saragat, il presidente del Consiglio Aldo Moro e il presidente della Regione Coniglio. Tutti portano una parola di conforto alle migliaia di sinistrati. Vengono allestite due tendopoli: la prima nell’attuale villa del sole, la seconda al Villaggio Peruzzo. Con il passare dei giorni tutti si dimenticano di quella lontana cittadina della Sicilia e la tensione dei mass media diminuisce gradualmente. Alla fine del 1966, viene emanato il decreto Gui Mancini. Con quest’ultimo atto, lo Stato cerca di salvaguardare almeno la zona archeologica e paesaggistica dalla speculazione edlizia. Il 20 Dicembre dello stesso anno, scoppia una violenta protesta in città, i cui protagonisti della rivolta sono proprio gli imprenditori della passata stagione dell’abusivismo edilizio. Nel frattempo, una folla di sinistrati ed artigiani prende di mira il palazzo del genio civile, distruggendo il tutto. Verranno arrestati solo uan decina di operai. La questione “frana” venne subito archiviata negli anni a seguire. In seguito, verranno assolti tutti coloro che erano stati indagati, con la formula di rito: per non aver commesso il fatto. Nessuno aveva costruito, nessuno aveva violato la legge. Nel 1968 si inizia nuovamente a costruire. Nasce la frazione di Villaseta, che dovrà accogliere quasi tutti i sinistrati della frana. Per collegare la città alla nuova frazione, venne costruito il viadotto Morandi, l’ennesimo pugno nell’occhio per la tanto martoriata Agrigento. Nel 1974 si demolisce l’intero quartiere dell’Addolorata. Al suo posto verrà costruito il parco attrezzato Icori, oggi abbandonato. Nel 1980 si presenta finalmente, in consiglio comunale, il tanto atteso piano regolatore, che sarà poi considerato carta straccia. Nascono altre frazioni: accanto Villaseta nasce Monserrato, ad est il Villaggio Mosè, a nord Fontanelle. La vecchia Girgenti muore giorno dopo giorno. Ma la frana si è risvegliata improvvisamente a distanti da tanti anni. Minaccia nuovamente il versante nord della collina su cui poggia la Cattedrale di San Gerlando. Chissà se questa volta ci sarà di nuovo un netturbino che griderà -U terremotu, u terremotu-.
Questa è la storia della frana di Agrigento. A seguito della frana furono messe a nudo tutte le irregolarità e i misfatti commessi dalla fine degli anni ’50 agli inizi degli anni ’60. Agrigento, dalla città piu bella tra i mortali, fu definita la “La capitale dell’abusivismo edilizio”. Il volto dell’antica Girgenti fu sfigurato da un’enorme colata di cemento.
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